Psicologia del lavoro di gruppo

Il team building, oggi, non è solo richiesto dalle aziende; è anche studiato dagli psicologi che si interessano alle psicologia del lavoro di gruppo, cioè alle interazioni umane all’interno di un gruppo di lavoro. Nello stesso trend si inserisce il recente articolo di Francesca Gino pubblicato sulla prestigiosa Harvard Business Review, Teams Who Share Personal Stories Are More Effective. Esso riguarda uno studio condotto in collaborazione con studiosi di altre illustri università: Julia Lee (University of Michigan), Don Cable (London Business School) e Brad Staats (University of Carolina).

Abbiamo già parlato degli studi psicologici sul lavoro di gruppo riguardo a uno studio del New York Times Magazine. Allora si trattava di far collaborare i membri di un gruppo, facendo in modo che condividessero momenti piacevoli e migliorassero di conseguenza le loro condizioni emotive all’interno del gruppo. Questa volta, invece, si parla di come tirare fuori le qualità migliori dei membri del gruppo. Nel lavoro comune, osserva l’autrice, le persone tendono istintivamente a parlare di conoscenze ed esperienze che condividono con gli altri, piuttosto che di ciò in cui se ne distinguono. Questo comportamento favorisce la coesione, ma sopprime l’individualità e può impedire il manifestarsi di conoscenze, capacità e abilità particolari in cui eccelle ciascun membro del gruppo.

Psicologia del lavoro di gruppo: affermazione di sé e affermazione nel gruppo

Il problema che si poneva agli psicologi era dunque il seguente: tirare fuori il lato brillante di ciascuno senza rompere la coesione del gruppo. Per questo scopo utilizzarono la tecnica psicologica della affermazione relazionale di sé (in inglese, relational self-affirmation). Questa tecnica permette di capire come e in quali occasioni una persona si metta in buona luce davanti agli altri. Citando Francesca Gino,

“relational self-affirmation involves asking individuals from a team member’s preexisting personal network (friends, family, and coworkers) to write narratives about times the individual made a distinct contribution”.

L’esperimento condotto dal gruppo di ricerca mirava dunque a evidenziare i lati forti delle persone e a chiarirli alle persone stesse. Pertanto, i ricercatori hanno proposto a ciascuno dei colleghi, amici e familiari delle persone prese in esame a raccontare una storia in cui il protagonista mettesse in luce le sue migliori qualità. Hanno poi mostrato queste narrazioni ai protagonisti indagati. Come sintetizza l’autrice, “making people aware of their own strengths results in better communication among team members and thus higher levels of performance“. Insomma, rendendosi conto delle proprie capacità e dei propri peculiari punti di forza, queste persone hanno avuto maggiore possibilità di continuare a manifestarli. Per di più, accrescevano l’autostima e in seguito si mettevano in mostra più volentieri, esprimendo a voce alta ideeproposte e critiche.

Un difetto di questa soluzione?

La sua difficoltà: infatti, non sempre a un’azienda è possibile condurre un’indagine del genere per scoprire i lati migliori dei propri dipendenti. Quale può essere allora un metodo per scoprirli? Noi consiglieremmo un’attività di Teatro aziendale. Questo format mette in relazione le persone in un ambiente psicologicamente rilassato e piacevole, ma anche stimolante, per ristabilire un clima positivo nel team;. Oppure, durante la bella stagione, un Outdoor training. Questo team building d’azione raggiunge lo stesso effetto attraverso un’attività fisicamente più impegnata, ma sempre stimolante della collaborazione e dell’aiuto reciproco.